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Test: Yamaha YZF-R6 e YZF-R1M

06/04/2018
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Signori, scegliete la vostra arma!”

Accuratamente parcheggiate sulla pit lane ci aspettavano alcune YZF-R6, una MT-10 e il gioiello di colore blu, argento e fibra di carbonio: la YZF-R1M. Tutte rigorosamente gommate con le Dunlop D212 GP Racer.

Il circuito è quello di Franciacorta, un tracciato tecnico e tortuoso dove ogni errore di traiettoria porta con sè almeno 2-3 curve prima di riuscire a riprendere il ritmo. Una bella palestra quindi dove poter mettere alla prova moto con motori e ciclistiche profondamente diverse.

La sessione inizia con un breve briefing su ciò che tra qualche minuto andremo a provare tra i cordoli. Il rumore delle moto che sfilano veloci sul rettilineo riesce a farmi capire alcuni termini: piattaforma inerziale a 6 assi, sospensioni con controllo elettronico, wheelie control e quick-shifter bidirezionale.
Prima però dovevo risolvere un punto critico: quello di affrontare una pista per me nuova.
Il circuito di Franciacorta racchiude all’interno dei suoi 2.5 km ben 13 curve, molte delle quali vengono raccordate creando delle S o curve con doppio punto di corda. Ho optato quindi di iniziare dalla YZF-R6, l’arma perfetta per cominciare ad attaccare il tracciato.

Photo Credits: Yamaha Motor Italia

Photo Credits: Idan Grunberg – MissBiker

YZF-R6: la prova

Ad un primo sguardo si capisce subito che l’estetica della nuova generazione della YZF-R6 segue lo stesso principio della YZF-R1: luci che si nascondono nella carenatura e prese d’aria frontali che rubano l’attenzione riprendendo le forme che troviamo sulla M1 nella MotoGp. Sembra che i designer di Yamaha si sono spinti al limite per esprimere il DNA da corsa di queste moto: sono prima di tutto nate per la pista con le dotazioni stradali in secondo piano.
Ci sono altri dettagli, provenienti direttamente dalla sorella maggiore, che troviamo sulla nuova R6: il cambio elettronico con il quick shift system, il controllo di trazione regolabile ed eventualmente disinseribile, la frizione antisaltellamento e le sospensioni, identiche a quelle del modello standard della R1.

La percezione in sella, tipica delle Yamaha, è quella di essere seduti direttamente sulla ruota anteriore. Una sensazione di una moto corta e compatta, dove si ha tutto sotto mano. Gli input di sterzo infatti vengono recepiti in modo fulmineo da una ciclistica affilata e dal comportamento incisivo.
Una 600 evoluta, una delle poche ancora presenti sul mercato, che dimostra che la cilindrata intermedia è tutto tranne che obsoleta. L’erogazione del motore 599 cc è un po’ nervosa ma potente negli alti regimi, tanto da richiedere una conoscenza del circuito per essere goduta e sfruttata al meglio.
La prima parte della prova è risultata faticosa, alternando frenate esagerate (ma sempre stabili) ad accelerazioni sproporzionate per riuscire a seguire il nostro apripista.

Pian piano però ho iniziato a prendere il ritmo giusto guidando sempre in modo più fluido e veloce: è in questo momento che questa moto inizia ad avere prestazioni brillanti.

L’impressione che mi ha lasciato la R6 è quella di un bisturi da chirurgo: precisa e agile. Un esempio per il futuro della classe 600 e NON un qualcosa di un’epoca che sta per finire.

Photo Credits: Idan Grunberg – MissBiker

Photo Credits: Idan Grunberg – MissBiker

YZF-R1M: la prova

La R1M è una promessa. Una promessa di performance sportiva ai limiti del possibile e dell’immaginabile per una moto in commercio. Le carene in fibra di carbonio, i telaietti in lega leggera di magnesio, sospensioni con controllo elettronico, un motore e un sistema di gestione elettronico che è evoluto assieme alla parte meccanica ed affinato a tal punto da vivere in simbiosi perfetta.

Da qualche anno ormai il concetto della supersportiva difficile da guidare e da gestire scompare dal panorama delle moto 1000cc. Moto che una volta erano temute per la loro potenza, caratterizzate da una ciclistica “pesante” per compensare la potenza penalizzando l’agilità, rappresentavano lo standard. Si parlava di 2 componenti: motore e ciclistica.
Oggi parliamo di 3 componenti nati e sviluppati insieme: motore, ciclistica ed elettronica. Sì, perché non si parla più di sistemi di controllo sviluppati a parte ed adattati alla moto ma di un sistema completo di gestione che viene incrementato di pari passo con il motore. Si parla di una ciclistica che non deve più compensare un’erogazione brusca e può concentrarsi sull’equilibrio importante tra agilità e stabilità.

Photo Credits: Yamaha Motor Italia

Dopo il primo approccio che ho avuto con la versione standard al circuito di Monteblanco, conoscevo già l’interfaccia di controllo di questa moto. Sono partita con un setting intermedio, con l’elettronica abbastanza invasiva e con la risposta del motore a livello 2, quella abbastanza dolce e morbida, adatta a questo circuito e al mio stile di guida.

Anche qui, come nella R6, l’impostazione ergonomica è estrema ma le dimensioni generali rimangono molto contenute (quasi come una 600) e la posizione in sella è comoda in posizione sportiva. Un aiuto dal tecnico Yamaha per tirare su il cavalletto e sono entrata in pista.

Devo ammettere che ero un po’ nervosa, non sapevo cosa aspettarmi da questa 998cc da 200 cavalli su un circuito molto tecnico come quello di Franciacorta. Pensavo che dopo qualche giro mi sarei già stancata a forza di accelerare, frenare e gestire la moto nel misto stretto creato dalle curve 5-10.

Ma la YZF-R1M mi avrebbe presto fatto cambiare idea. Giusto il tempo di qualche curva e mi sono sentita in perfetta sintonia con la moto. La precisione nei comandi, la fluidità nella risposta del motore e la sorprendente leggerezza nei cambi di direzione hanno reso la guida piacevole e, oserei dire, facile quasi fin da subito.

Photo Credits: Yamaha Motor Italia

Photo Credits: Yamaha Motor Italia

Motore ed elettronica della YZF-R1M

Il motore crossplane della R1M è capace di produrre 200Cv e 112,4 Nm di coppia: sappiamo bene che questa potenza non è sempre gestibile. Qui entra in scena il sistema elettronico che ne modula l’erogazione. L’intervento è quasi impercettibile ma aiuta ad eliminare le distrazioni create da possibili slittamenti del posteriore mentre il LIF elimina la preoccupazione di impennate improvvise in accelerazione.

Questi accorgimenti permettono al pilota di concentrarsi più facilmente sulle traiettorie e sulla tecnica invece di dover “battagliare” con la moto: ciò si traduce in migliori tempi sul giro e in una riduzione dell’affaticamento fisico.

La piattaforma inerziale a 6 assi (quella che controlla il LIF, il SCS e il TCS) è affiancata da un sistema di comunicazione (CCU) che registra dati di telemetria come tempi sul giro, angolo di piega, posizione del corpo farfallato e altro ancora, per poter analizzare e migliorare la propria tecnica e l’assetto della moto. Permette inoltre di scaricare, controllare e modificare le varie mappature.
Insomma, la R1M mette a disposizione del pilota una serie di strumenti analitici professionali che fino a pochissimi anni fa erano utilizzati solo negli ambienti delle corse.

Photo Credits: Idan Grunberg – MissBiker

Photo Credits: Idan Grunberg – MissBiker

L’ingresso in curva della YZF-R1M

Cornering ABS e Unified Brake System: queste sono le tecnologie che la R1M mi offre in fase di frenata.

Il Cornering ABS non è altro un ABS che tiene conto dell’angolo di piega, mentre il Unified Brake System aiuta a bilanciare la moto in fase di frenata, azionando il freno posteriore anche se viene toccata solo la leva del freno, limitando così un eccessivo trasferimento di carichi verso la ruota anteriore. Nonostante la presenza di vari sistemi, la sensazione del freno anteriore è naturale, la frenata è potente e il controllo sulla leva è preciso.
Con ogni ingresso in curva potevo sperimentare il comportamento della moto in caso tenessi tirata la leva del freno più a lungo, cercando una frenata più potente o non toccando il freno posteriore. Nonostante tutte queste varianti, l’ingresso in curva si è dimostrato facile e il cambio di direzione per nulla faticoso grazie ad una minima pressione sul semimanubrio.

In fase di percorrenza e accelerazione con la moto ancora in piega, la R1M mantiene la traiettoria come se fosse piantata su un binario. Nella nostra danza tra le curve 9 e 13, giro dopo giro cercavo di accelerare di più, piegando sempre di più e giro dopo giro la R1M teneva stretta la traiettoria con le sue gomme, senza mai mollare neanche di un centimetro.
Il quick-shifter rende l’inserimento delle marce facile ed istantaneo, senza dover lasciare l’acceleratore. Nella lunga uscita dalla curva 9, con la moto sempre piegata e con il gas in mano, preparavo già il piede sotto la pedivella del cambio: basta un tocco leggero con la punta  e la marcia si innesta immediatamente. Il quick-shifter su questa moto è bidirezionale e con la frizione antisaltellamento permette di scalare le marce senza dover usare la leva della frizione.

Parlare di tecnologia è bello ed è anche necessario. La cosa che mi è rimasta impressa nella mente, però, è la sensazione di non aver guidato questa moto ma di aver ballato con lei fra i cordoli. Sensazione di facilità e leggerezza inaspettate. È questo il maggior punto di forza della R1M: tutto è calibrato perfettamente per rendere gestibile la potenza e per adattarsi al meglio al pilota.

Una caratteristica preziosa per l’amatore che permette di divertirsi con più sicurezza e prestazioni migliori e per i piloti, un fattore determinante per il tempo sul giro.

Non illudiamoci, l’elettronica della R1M non ci trasformerà miracolosamente in piloti professionisti e per andare forte, come per qualsiasi altra moto, bisogna saper guidare ma a qualsiasi livello questa moto ci aiuta a guidare un po’ meglio, con più precisione e con meno fatica. E questa, è una grande cosa.

Bella Litinetski
Credits MissBiker 2018

Foto Credits:
Yamaha Motor Italia
Idan Grunberg

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