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Come mai così tante moto eccezionali arrivano dall’Italia?

05/03/2018
Lisa Cavalli
Pubblicato in:

Storia di come una valle italiana ha dato vita a dozzine di moto iconiche.

Il nord Italia è la casa della maggior parte degli oggetti di lusso, più di ogni altro posto al mondo.
Questo è particolarmente evidente nella valle che culla i fiumi Po, Adda e Ticino, un’area che confina a sud con San Marino, ad ovest con Milano e Torino, e al nord con le Alpi.
Qui, troverete una sorprendente varietà di brand italiani degni di nota. Armani, Gucci, Versace. Nordica, Virbam e Campagnolo. Ferrari, Lamborghini e Maserati. E, ovviamente, Ducati, MV Agusta, Moto Guzzi, Bimota, Alpinestars, Dainese, Sidi e Spidi. Tutti questi marchi chiamano quest’area “casa”.

Se c’è una regione sulla Terra responsabile della maggior parte delle secrezioni del sistema limbico – o del pensiero urgente “io devo averlo” – nel cervello umano, sappiamo quale sia. Come disse il compositore italiano Giuseppe Verdi “Avrai tu l’Universo, resti a me l’Italia”.
La concentrazione di produttori di moto e la fantastica storia motociclistica nel nord Italia o attorno alla Valle del Po non è una sorpresa. Quell’area è stata una potenzia industriale per decenni, che ha catapultato l’Italia all’ottavo posto dei paesi con miglior PIL nel mondo.

Sante Mazzarolo – fondatore di Alpinestars

La storia economica dell’Italia ha avuto i suoi alti e bassi negli ultimi 150 anni. I fiumi alpini hanno dato vista alle prime industrie negli ultimi anni del 1880, con lo sviluppo, nei primi del ‘900, dell’ingegneria e delle costruzioni navali. La Prima Guerra Mondiale e la successiva depressione hanno indebolito le infrastrutture industriali italiane, e gli implacabili bombardamenti durante lo sbarco a Salerno l’hanno ridotta in macerie.
Nel 1948 il piano Marshall ha destinato circa 975 milioni di euro per la ripresa dell’Italia – parallelamente ad un investimento di 11 miliardi nel resto dell’ovest Europa. È più di 81 miliardi di euro, oggi. I soldi che hanno preparato la rinascita industriale italiana alla fine degli anni ‘50/inizio ’60. La manodopera a basso costo e la fame della guerra coreana per l’acciaio italiano durante il 1950 hanno aiutato l’Italia nel riprendere la crescita magnificamente. Ed è proprio in questo fertile panorama che Ferrari, Gucci, Ducati ed Alpinestars sono fioriti.

Ovviamente, un’economia vibrante, l’industria e un sacco di aiuti economici non bastano per creare oggetti di lusso. Questi elementi da soli non hanno di certo creato la magnifica e brutale semplicità della Ducati Super Sport del Dr. Taglioni o la meravigliosa funzionalità degli stivali da motocross Alpinestars di Sante Mazzarolo. Lo stesso vale per la forma sinuosa e le leghe utilizzare per creare la MV Agusta F4 di Massimo Tamburini.
C’è qualcos’altro qui che funziona – qualcosa di personale e teatrale. Qualcosa di culturale che affonda le sue radici nella storia italiana. Alla sua arte ed alla sua scultura, alla soddisfazione individuale che deriva dal vero concetto di artigianato.

“Gli italiani fanno cose, cose meravigliose, cose che le persone vogliono usare, cose che li fanno sentire bene”, dice Alan Cathcart, moto-giornalista ed Italofilo, il quale ha vissuto in Italia e ne parla la lingua. “Ce l’hanno nel sangue. È un ethos. È un paese in cui la funzione deve combaciare necessariamente con la forma”.
Loro lo hanno capito. C’è qualcosa nel loro DNA che assicura un elevato livello di design ed eccellenza estetica, artigianato e orgoglio del loro lavoro.

Funzione combinata alla forma. È un’elegante combinazione e non facilmente raggiunta nel mondo del design e dell’ingegneria. Forse l’esempio migliore è il lavoro dell’ultimo Tamburini (1943-2014), il cui impegno con Bimota a Rimini, Ducati a Bologna e MV Agusta a Varese, negli ultimi anni, detta ancora gli standard per l’apogeo del design motociclistico. Dall’ HB1, la prima CB750 Bimota, alla Ducati Paso e 916 e, infine, la squisita MV Agusta F4, Tamburini ha generato più moto del desiderio che qualsiasi altro designer in tutti quegli anni.

“Forma e funzione non possono essere separati!” afferma Tamburini in un’intervista dopo la realizzazione dell’F4. “Un pezzo ben disegnato bello da vedere dev’essere anche assolutamente funzionale. Il ‘volere’ ed il ‘potere’ coesistono”. Oltre alle forme sublimi, Tamburini ha spinto l’ingegneria leggera anni prima della GSX-R750.

“Ricordo un incontro in Giappone con Suzuki” dice “quando un ingegnere mi chiese quale fosse stata la moto del futuro secondo me. Ricordo molto bene la mia risposta: una 750 con la potenza di una 1000 ed il peso di una 500. Questo era il mio pensiero nel lontano ’83, ed è lo stesso di oggi”.

Quel pensiero era in bella vista con le Bimota degli anni ’70 ed ’80, e nonostante il basso numero di produzione, le moto leggere e potenti contagiarono qualsiasi produttore di moto sportive dell’epoca. Noi abbiamo una domanda: la discussione di Tamburini con quell’ingegnere può aver contribuito allo sviluppo avanzato della super leggere GSX-R750 del 1985? È certamente possibile.
I produttori italiani si incontrano. Designer e artigiani raccolti in gruppi per convenienza ed economia. La regione Veneto, il nord di Venezia – e nello specifico le città di produzione di stivali Montebelluna, Asolo e Maser ai piedi delle colline alpine – sono un perfetto esempio di questa unione quasi comune. Lungo un’area specializzata in stivali da scalata, da escursionismo e da sci, la regione è casa di molti produttori del settore motociclistico, tra cui Alpinestars, Sidi, Gaerne, Dainese e Spidi.
Alpinestars ha iniziato nel 1960, quando Sante Mazzarolo iniziò a produrre calzature ad Asolo.
Con la rapida diffusione del motocross in Europa, Mazzarolo creò stivali all’avanguardia e specifici per andare in moto. Il successo arrivò quasi subito, dopo che il leggendario pilota Roger DeCoster li adottò. Il figlio di Mazzarolo, Gabriele, che prese il comando dell’azienda nel 1993 e vi stabilì una potenza industriale, sente l’emozione e la spinta storica che ha aiutato la sua famiglia a costruire e guidare l’azienda.

“C’è sicuramente qualcosa di speciale nel design italiano” mi ha detto di recente Mazzarolo. “Questo spirito può derivare dal fatto che, per secoli, gli italiani hanno sviluppato e tramandato un sapere attorno al design che è esploso durante il Rinascimento. Con rare eccezioni, da quel punto in poi ogni elemento visibile della società – che fosse decorativo o funzionale – è stato esteticamente aggiornato e perfezionato”.
“Credo che gli italiani abbiano sempre saputo combinare il prodotto con le esperienze” ha aggiunto. “La moda, le calzature, le auto veloci, lo stile di vita, lo sport ed ovviamente le moto. Le moto, nello specifico, sono il culmine di ognuna di queste cose: le moto sono velocità, libertà, esperienze, e sono naturalmente connesse con la moda – l’estetica degli abiti di un motociclista e anche l’aspetto della sicurezza. Ancora più cruciale è che gli ingegneri italiani capiscono l’estetica e l’aspetto emozionale tanto quanto i loro disegni.
Questa è una componente che raramente mette d’accordo ingegneri e designer, l’idea che il design sia capito ed apprezzato da tutti è la cosa più grande che rende il design italiano così stupefacente.”

Il CEO di Ducati, Claudio Domenicali, enfatizza quanto detto da Mazzarolo. “Ogni Ducati” ci ha detto “è un simbolo della cultura italiana, del suo stile, del suo genio. A Ducati, quando parliamo di ‘essere italiani’, abbiamo due caratteristiche in mente – ‘pulito’ ed ‘essenziale’, intendendo che la moto dovrebbe avere solo ciò di cui necessita [nulla di superfluo], e ‘compattezza’, dimensionalità e soprattutto immagine.
L’italianità non è solo arte e gusto ma anche conoscenza industriale che fornisce prodotti affidabili e meravigliosi. Questo è il motivo per cui noi abbiamo una lunga tradizione nella produzione di moto di alta qualità in Italia”.

Abbiamo menzionato l’originale Ducati Super Sport e 916s, e la MV F4, e gli stivali da motocross Alpinestars. Ma come spiegare la classica Vespa degli anni ’60 e ’70? O l’incredibilmente sexy Laverda SF 750 degli anni 70? Le Moto Morini con motore V2 erano davvero stravaganti. Ricordate Italjet? E che dire del Conte Boselli di Mondial che ha venduto a Soichiro Honda un’autentica GP a fine anni ’50, apparentemente per lo studio di Mr. Honda? E la quasi completa donazione dell’Italia della scena GP tra il ’49 ed il ’79, quando le marche italiane vinsero circa 70 titoli mondiali? O il modo in cui Moto Guzzi fece uscire la V7 anche se statale – ed obbligata a focalizzarsi su cose pratiche come gli scooter? Come hanno fatto gli italiani a passare dalla quasi totale distruzione dopo la seconda guerra mondiale ad essere forza dominante nel motociclismo, costruendo moto che facevano invidia al mondo intero?

In poche parole, non potevano farne a meno. Gli italiani fanno le cose in modo differente. Tengono a le cose in modo differente. Questo non significa che il Tadao Baba di Honda, padre della CBR900RR, ed il Laszlo Peres di BMW, la mente dietro l’R80G/S, non lo facessero. Semplicemente, gli italiani aggiungono un po’ di peperoncino e di asiago alla ricetta. Parlano di moto con le loro mani. Sono pieni di passione nelle sconfitte ed emozionali nella vittoria. C’è forza e fiducia, indipendentemente dalla sfida – imparano senza che qualcuno glielo insegni, semplicemente mescolando la tradizione ed il pedigree di una società che ha costruito le altre società.

Essere italiani sembra scaturire un certo orgoglio e capacità di recupero che ne alimentano il credo. Ne è un esempio il coraggio degli italiani dopo la seconda guerra mondiale. Il loro carattere, unito allo stile. La stravaganza del design e
la devozione all’artigianato hanno creato un marchio unico famoso in tutto il mondo for qualsiasi cosa, dal cucito agli scarichi. Le moto, nello specifico, hanno creato un’icona per cui è impossibile immaginare il panorama delle due ruote senza l’Italia.

Traduzione dell’articolo Why Do So Many Brilliant Motorcycles Come From Italy?
autore Mitch Boehm
Copyright Motorcyclistonline 2018
Traduzione per MissBiker.com a cura di Gilda Dota

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