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Rosaria Iazzetta: un’artista in viaggio

08/01/2019
Lisa Cavalli
Pubblicato in: ,

Oggi vi vogliamo presentare Rosaria Iazzetta, artista e docente di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Nel 2005 termina un Master in Scultura alla Tokyo University of the Arts, grazie ad una borsa di studio del governo giapponese e dal Ministero degli Affari italiani. La tematica della sua arte è sempre sociale.
Nel 2018 intraprende un viaggio in solitaria da Napoli al Giappone a bordo della sua Yamaha MT07. Un’esperienza che si rivelerà essere non solo ricca di incontri ma anche di emozioni: il suo progetto coinvolge le donne in un modo unico e speciale.

Credo che un’opera d’arte debba preoccuparsi dei bisogni sociali e rappresentare al meglio aspetti difficili che non sono ancora affrontati. La creatività libera consente di affermare gli aspetti più intimi del mondo.
Da dove deriva la tua passione per la moto?
A 13 anni ho iniziato con il guidare una Vespa 50 ma contemporaneamente cambiavo posizione dell’auto di mio padre parcheggiata quando mi lasciava sola in auto e scendeva a giocare la schedina al Totocalcio.

Credo che mi sia sempre piaciuto guidare, lo trovavo un modo speciale per vivere le distanze e scoprire i luoghi.
Poi il passaggio in moto è avvenuto da adulta, quando l’estetica della moto era notevolmente più prossima ad una scultura rispetto allo scooter, e presentava anche dei costi vantaggiosi per l’acquisto. Prima una 250 e poi una 700 di cilindrata, sempre Yamaha.

Parliamo di “Yellow horse evolution project”. Com’è nato questo progetto? Perchè questo nome?

Mi sono specializzata con gli studi in Giappone anni fa e poi ho iniziato ad essere invitata nel nord, esattamente nella Prefettura di Iwate, per portare avanti delle ricerche in ambito sociale e creativo.  Lì due anni fa ho messo a fuoco questa grande piaga sociale dell’alto numero di donne che si suicidano in quell’area. Fatte varie ricerche, pare che fosse evidente una cultura maschilista, ancora abbastanza radicata  e una difficoltà, da parte delle stesse, ad affermare i diritti pur vivendo
differenti ambiti sociali.
Alcuni villaggi di quell’area in passato erano abitati da cavalli, a gambe corte, dalla chioma chiara, ma estremamente veloci. Caratteristiche che sembravano metaforicamente essere presenti nella mia moto. A quel punto pensavo potesse essere utile non solo a loro, ma anche a tante altre, portare esempi di donne provenienti da diversi paesi che pur vivendo la difficoltà nell’affermare i propri sogni, non si sono arrese. Un’idea quindi che tentava di evolvere il concetto delle affermazioni individuali e connettere tutte queste donne utilizzando direttamente la mia moto e la mia energia fisica per raggiungerle. Così, visto che si trattava di un progetto che non pretende la rivoluzione ma intende sottolineare una necessaria evoluzione e che include un mezzo di colore giallo, come i cavalli che abitavano quei territori, ho deciso di chiamarlo Yellow Horse Evolution Project.

Professoressa, artista e motociclista. Come sei riuscita a miscelare queste tre passioni?

Non saprei dirti come ho miscelato tutto insieme. Potrei spiegarti perché non potrei fare diversamente, forse mi viene più semplice. Trovo che lo stato che accomuna tutte queste diverse categorie sia la libertà!
In uno stato di mancanza di libertà credo che sia impossibile creare arte e impossibile sentire il piacere del vento in petto quando sei su una moto. Includendo alla libertà, la responsabilità credo che si possa diventare anche una Professoressa! Certo, sarebbe comodo scegliere una delle tre alle volte per vivere a pieno e più approfonditamente il sentimento, ma penso che queste esperienze miscelate allo stesso momento permettano di creare un giusto equilibro tra la fase ispirativa e quella di realizzo!

Nella bio del tuo sito mi è piaciuta molto la frase: “I believe that Art work should focus on social needs, and represent all those difficult issues that have not yet been addressed. Creativity grants the freedom needed to break ideologies and the most intimate aspects of the world.” (“Credo che il lavoro artistico debba concentrarsi sui bisogni sociali e rappresentare tutte quelle questioni difficili che non sono ancora state affrontate. La creatività garantisce la libertà necessaria per rompere le ideologie e gli aspetti più intimi del mondo.) Hai riscontrato questo anche nel tuo viaggio?

Certo. Diciamo che il leit motiv del mio lavoro creativo è proprio quello di tentare di rompere ideologie e penetrare dove normalmente non vi è accesso nella società! Yellow Horse posso considerarlo una modalità performativa di interagire con le persone, per mostrare quanto in paesi e culture diverse, oggi le donne affrontano ancora stesse problematiche e stesse discriminazioni. Forse un’opera scultorea non avrebbe potuto raccontare l’immensità e la diversità che invece una moto mi ha permesso di vivere.
Sentivo, che se volevo veramente operare su una tematica così impegnativa e importante, dovevo raggiungere direttamente le persone nei luoghi di appartenenza e lavorare su come documentare le 59 interviste nei territori d’origine, per poi renderle fruibili al fine d’ispirarle.

Mi ha colpito molto il tuo modo di viaggiare, interagendo con donne di diversi paesi e rendendole parte della tua storia. Quali sono stati i punti in comune tra te e le altre donne?

Molte delle donne intervistate non le conoscevo ed ero terrorizzata alla volte dal fatto che potessimo non avere punti in comune. Continuando a viaggiare e ad incontrarle ho compreso che il nostro più importante punto in comune era il fatto che eravamo donne!
Quello di per sé, oltre al nostro incontro prefissato, era il punto di fiducia che io avevo riposto in loro, nella loro storia, e loro nel mio progetto, pur non avendomi mai vista prima!
Non avevamo la stessa lingua, non lo stesso lavoro e nemmeno la stessa esperienza di vita, eppure quando parlavamo sentivamo entrambe tutto, nei pianti di certi argomenti, nella commozione ricordando il passato e nell’entusiasmo di un abbraccio che forse non si ripeterà mai più.

Sei passata attraverso 13 nazioni diverse, che difficoltà hai incontrato? La gente come ha reagito vedendo una donna motociclista solitaria?

Le difficoltà sono state ovviamente tante: dalla burocrazia alle frontiere allontanandomi dall’Europa al trovare un albergo che avesse un garage per la moto, dalla strada inesistente in Mongolia al freddo in Russia e in Kazakistan, dall’impossibilità di usare le strade veloci in Cina e Corea, proibite alle moto al carburante da portare in taniche quando le distanze erano troppe e il mio serbatoio troppo piccolo per superare i 250 km di autonomia.
Le reazioni sono state spesso diverse da paese a paese. Quelle più impressionanti in Cina dove in molti non credevano che fossi veramente una donna! Non riuscivano a capire come una donna possa percorrere queste distanze in moto da sola! Una netta distinzione c’era tra le reazioni provate degli uomini e quelle delle donne. Gli uomini, una sorta di rivendicazione: se lei è
riuscita in questo, immagina cosa posso fare io, pensavano. Le donne, una sorta di gioia: lei è riuscita in un sogno, anche io posso forse seguire il mio! Nelle donne un’emozione dettata dall’ispirazione.
Tante persone sconosciute hanno pianto e offerto dei doni, del cibo, del denaro e mi hanno supportato guidandomi in luoghi specifici o semplicemente dandomi indicazioni.

Hai organizzato un viaggio ricco di appuntamenti. Immagino la moto non sia stato solo un mezzo di trasporto in tutto questo progetto ma uno dei fulcri dello stesso.

La moto è stata la protagonista del viaggio. Nelle interviste la moto è sempre presente perché volevo che fosse evidente che io e lei abbiamo raggiunto fisicamente quelle persone. Quando in Corea del Sud i processi di sdoganamento hanno richiesto tempo ho preferito stampare a grandezza naturale la foto della moto per farla sentire lì durante le interviste anche se fisicamente era in un container nel porto di Incheon. In molti ne ammiravano la componentistica, il modo di aver sistemato i bagagli o le caratteristiche tecniche. La moto si chiama Giunone e per me è stato fondamentale partire con a lei.
La sua versatilità, la sicurezza di strada in condizioni climatiche e di strada, la certezza di poter essere indipendente con un tuo mezzo, credo che sono state fondamentali per la realizzazione del progetto.
Il sentirmi a casa con lei anche quando non esisteva la linea dell’orizzonte, non c’era un’abitazione o una persona, per chilometri e chilometri, è stato fantastico e importante essere insieme, proprio per non perdere il senso del viaggio e l’orientamento.

E’ stato il tuo primo viaggio così impegnativo in moto da sola?

Yellow Horse è il terzo viaggio in moto ma credo il primo viaggio più strutturato e veramente importante. Il primo viaggio lo feci imbarcandomi per la Sardegna, poi Corsica fino in Francia. Il secondo in Grecia e le isole greche. Ed ecco il terzo da Napoli fino in Giappone. Il primo viaggio è durato un mese. Il secondo due mesi e quest’ultimo quattro mesi.

Sponsor d’eccezione hanno supportato il tuo bellissimo progetto: da Yamaha a Givi ma in special modo la Prefettura di Iwate in Giappone che ho letto essere alle prese con un altissimo tasso di suicidi femminili. Qual è stato il messaggio che hai voluto trasmettere?

Ringrazio difatti Yamaha e Givi per aver sostenuto il progetto. Il loro sostegno, come quello della Soh Gallery di Tokyo e la Camera di Commercio Italiana a Tokyo, è stato determinante. La conoscenza di un problema così serio nella Prefettura di Iwate, come l’alto numero di suicidi di donne, potremmo dire che è stato il movente per strutturare un progetto così articolato. Incontrare poi tutte quelle donne e intervistarle è diventato importantissimo perché mi ha dato un “pretesto” per non fermarmi mai, continuare ad andare, sapendo che persone mi aspettavano in luoghi specifici.
Il mio obiettivo è sempre stato lo stesso: dimostrare il più possibile la forza delle donne, la capacità di credere
nei propri sogni senza arrendersi ai soprusi sociali, alle dinamiche culturali e alle problematiche politiche di ogni singolo territorio.

Quali sono state le emozioni più belle di questo viaggio?

Vedere la gente che piange per aver capito da dove sei partita, da dove stai arrivando e per quale motivo lo fai mi provoca ancora oggi emozione al solo ricordo. Essere caduta numerose volte, nel fango, sotto la pioggia e smontare tutti i bagagli, rialzare la moto e rimontarli di nuovo senza essermi mai fatta male io li chiamerei emozionanti miracoli, indimenticabili. Essere ospitata in famiglia sconosciuta in Kazakistan o accolta dagli studenti russi nella zona dei Monti Altai, semplicemente perché ero la prima Professoressa italiana in moto che incontravano non ha eguali. Il crocifisso regalato da una donna kazaka, mentre mi diceva di fare attenzione e mi correggeva la pronuncia del suo paese. Aver assaggiato per la prima volta pesce, in Cina, dopo aver mangiato solo carne per mesi. Aver pianto, quando sono arrivata a Tokyo che per la prima volta osservavo da motociclista, fuori da una metro e lontano dai taxi. Indimenticabile!

Hai intervistato donne che stanno lottando o affermando un proprio sogno o un proprio diritto. Quali sono state quelle che ti hanno lasciato il segno?

Tutte le donne intervistate hanno una personale straordinaria lotta , che portano avanti, a mio avviso.
Stanislaca Stasa Zajovic, Referente donne in nero di Belgrado, e Patricia Tough referente donne in nero di Bologna, intervistate rispettivamente in Serbia e a Bologna, sono delle straordinarie donne, antimilitariste e femministe di grande spessore. Rosaria Capacchione, giornalista anticamorra che vive sotto scorta, intervistata a Castelvolturno che insieme a Tina Palomba, e Angela Nicoletti, portano avanti una lotta serrata alle dinamiche criminali, schierandosi in prima linea con la carta stampata. Olinka Vistiva, produttrice e creatrice del museo delle relazioni interrotte a Zagabria in Croazia; Ren Bo, artista cinese intervistata a Pechino, Ko Milkyoung, Presidente della Korean Women Hot Line, intervistata a Seoul in Corea del Sud. E ancora, Yoshida Shimada, artista e femminista di Tokyo e Zhazira Diseembekova, produttrice TV e interessante giornalista intervistata ad Astana in Kazakistan.
Sono donne di grande determinazione che incredibilmente hanno dato forza anche al mio intero viaggio.

Cosa consigli alle motocicliste che vorrebbero partire ma che hanno spesso timore di viaggiare sole e inseguire i propri sogni?

Direi la stessa cosa che dico ai miei studenti una volta iscritti al corso di Scultura all’Accademia di Belle Arti:
“Adesso è necessario che vi prendiate la responsabilità di lavorare ai vostri sogni. Non basta aver avuto il coraggio di iscrivervi ad un corso che amate, adesso è necessario crederci, dedicare tempo e combattere con entusiasmo le paure che vi verranno incontro.”
Quando possiedi una moto pensi che possa bastare l’aria in petto per una giornata o qualche ora. Se ti arriva un sogno, se pensi che la tua idea di viaggio includa la moto o è la tua passione, devi lavorare perché avvenga e non lasciare nulla al caso. Non chiedere consigli a persone che il posto più lontano che hanno visitato è a pochi chilometri dalla loro casa.
Bisogna sforzarsi di dedicare tempo a ciò che ami, programmare, essere flessibile ai cambiamenti ed essere in pace quando starai da sola per lungo tempo. Capire che la paura è uno stato di congelamento che non ti permettere di vivere veramente quello che senti. Capire che gli auto-sabotaggi sono all’ordine del giorno e che devi combatterli se vuoi riuscire in quello che ami. Ogni volta che aspetti e ti fermi, togli spazio al senso della vita che stai cercando o mettendo in pratica. Avanti tutta! Non è scritto da nessuna parte che andrà male, anzi che andrà alla grande sarà possibile! Atteggiamento positivo e grande determinazione, e tutto, ma dico veramente tutto, diventa realizzabile!

Intervista di Lisa Cavalli
Copyright MissBiker 2019
Photo Credits: Rosaria Iazzetta
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